Giovedí 30.12.2010 14:57
Il giorno dopo la sigla dei nuovi accordi per gli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano siglati senza la Fiom (che ha proclamato così uno sciopero nazionale di otto ore per i metalmeccanici entro fine gennaio) a Piazza Affari il titolo Fiat perde il 2% con le ordinarie a 14,68 euro l'una, ma con un +43% abbondante da inizio anno si conferma tra i pochi vincitori di un 2010 che borsisticamente parlando non ha regalato grandi soddisfazioni al listino di Milano.
A tenere banco sono le attese per lo spin off che porterà dal 3 gennaio prossimo le attività automobilistiche di Fiat Spa a quotare separatamente da quelle di Fiat Industrial: da giorni gli operatori sono andati manovrando sul titolo in previsione di due differenti profili di rischio che contraddistingueranno le due "nuove" Fiat e che dovrebbero favorire proprio l'auto vista come più rischiosa ma per questo con maggiori possibilità di apprezzamento se Marchionne riuscirà a completare la ristrutturazione del gruppo.
Non tutti sono peraltro convinti che la strategia del manager amante dei pullover blu sia la sola possibile, visto che nonostante l'insistenza con cui Torino ha ricordato che produrre auto in Italia è troppo costoso, produrle in Germania o Francia non lo è certamente meno. Alcuni poi si chiedono che senso abbia spostare dagli impianti polacchi a quello campano la produzione di un modello dai modesti margini di guadagno come la Panda.
Critiche che curiosamente son state solo in parte riprese dai sindacati, preoccupati più che altro dal rischio che il gruppo decidesse di chiudere dopo Termini Imerese anche almeno un altro impianto in Italia. E che in qualche caso, come in casa Cgil-Fiom, sembrano dopo i proclami di lotta mostrare i primi segni di incertezza circa l'atteggiamento concreto da seguire ora che gli accordi sono stati siglati (tanto che Cgil Campania ha oggi "suggerito" alla Fiom di porre una "firma tecnica" in calce all'accordo per Pomigliano per non perdere il diritto a entrare nella fabbrica coi propri rappresentanti).
Di certo investitori, analisti e sindacati hanno ormai capito che il futuro di un gruppo come Fiat nel settore dell'auto dipende sempre meno dall'andamento del mercato domestico e sempre più da paesi emergenti come il Brasile, dove Fiat ha appena presentato il nuovo sito produttivo nello stato brasiliano di Pernambuco nel quale investirà 1,3 miliardi di euro dei 4,4 miliardi già preventivati tra il 2011 e il 2014 e nel quale Marchionne mira a raggiungere oltre un milione di vetture vendute all'anno dal 201, o la Cina, che semplicemente annunciando l'introduzione di vincoli all'acquisto di nuove autovetture da parte dei residenti della città di Pechino ha fatto tremare per giorni i titoli dei produttori tedeschi e francesi, fortemente esposti su tale mercato (dove invece il gruppo italiano ancora cerca di rafforzare la propria per ora marginale presenza).
Tutti problemi, come l'ulteriore integrazione con Chrysler e la ricerca di eventuali altri partner con cui crescere ulteriormente, anche a costo di ridurre il controllo della famiglia Agnelli e più in generale dei capitali italiani sul gruppo, di cui si riempiranno le cronache del prossimo anno ma che per oggi restano sullo sfondo, con gli operatori ormai impegnati a chiudere i conti nell'ultima seduta borsistica dell'anno
A tenere banco sono le attese per lo spin off che porterà dal 3 gennaio prossimo le attività automobilistiche di Fiat Spa a quotare separatamente da quelle di Fiat Industrial: da giorni gli operatori sono andati manovrando sul titolo in previsione di due differenti profili di rischio che contraddistingueranno le due "nuove" Fiat e che dovrebbero favorire proprio l'auto vista come più rischiosa ma per questo con maggiori possibilità di apprezzamento se Marchionne riuscirà a completare la ristrutturazione del gruppo.
Non tutti sono peraltro convinti che la strategia del manager amante dei pullover blu sia la sola possibile, visto che nonostante l'insistenza con cui Torino ha ricordato che produrre auto in Italia è troppo costoso, produrle in Germania o Francia non lo è certamente meno. Alcuni poi si chiedono che senso abbia spostare dagli impianti polacchi a quello campano la produzione di un modello dai modesti margini di guadagno come la Panda.
Critiche che curiosamente son state solo in parte riprese dai sindacati, preoccupati più che altro dal rischio che il gruppo decidesse di chiudere dopo Termini Imerese anche almeno un altro impianto in Italia. E che in qualche caso, come in casa Cgil-Fiom, sembrano dopo i proclami di lotta mostrare i primi segni di incertezza circa l'atteggiamento concreto da seguire ora che gli accordi sono stati siglati (tanto che Cgil Campania ha oggi "suggerito" alla Fiom di porre una "firma tecnica" in calce all'accordo per Pomigliano per non perdere il diritto a entrare nella fabbrica coi propri rappresentanti).
Di certo investitori, analisti e sindacati hanno ormai capito che il futuro di un gruppo come Fiat nel settore dell'auto dipende sempre meno dall'andamento del mercato domestico e sempre più da paesi emergenti come il Brasile, dove Fiat ha appena presentato il nuovo sito produttivo nello stato brasiliano di Pernambuco nel quale investirà 1,3 miliardi di euro dei 4,4 miliardi già preventivati tra il 2011 e il 2014 e nel quale Marchionne mira a raggiungere oltre un milione di vetture vendute all'anno dal 201, o la Cina, che semplicemente annunciando l'introduzione di vincoli all'acquisto di nuove autovetture da parte dei residenti della città di Pechino ha fatto tremare per giorni i titoli dei produttori tedeschi e francesi, fortemente esposti su tale mercato (dove invece il gruppo italiano ancora cerca di rafforzare la propria per ora marginale presenza).
Tutti problemi, come l'ulteriore integrazione con Chrysler e la ricerca di eventuali altri partner con cui crescere ulteriormente, anche a costo di ridurre il controllo della famiglia Agnelli e più in generale dei capitali italiani sul gruppo, di cui si riempiranno le cronache del prossimo anno ma che per oggi restano sullo sfondo, con gli operatori ormai impegnati a chiudere i conti nell'ultima seduta borsistica dell'anno
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